Fibromialgia

Affronta il dolore cronico della fibromialgia con la terapia cognitivo comportamentale.

Che cos’è la fibromialgia

La fibromialgia o sindrome fibromialgica è una malattia reumatica cronica, riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1992. Rappresenta un disturbo eterogeneo in cui il dolore cronico diffuso è dominante e rientra nelle sindromi da sensibilizzazione centrale, patologie in cui il sistema nervoso centrale amplifica il dolore, rendendo l’individuo suscettibile ad alcuni stimoli (come luce, pressione o temperatura) in precedenza neutri (Sancassiani et al., 2017).

Sintomi della fibromialgia

La fibromialgia è caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso e persistente, accompagnato da una varietà di sintomi che possono presentarsi in diversi periodi più o meno acuti. I sintomi più diffusi associati al dolore sono:

  • affaticamento e carenza di energie
  • disturbi del sonno (ad esempio, risvegli frequenti e sindrome delle gambe senza riposo)
  • intestino irritabile
  • cefalea
  • acufeni
  • umore depresso
  • ansia e irritabilità
  • problemi a carico di memoria e concentrazione, la cosiddetta fibrofog, una sensazione di annebbiamento mentale.

La diagnosi di fibromialgia

Come viene diagnosticata la fibromialgia? Lo specialista reumatologo può effettuare diagnosi di fibromialgia se sono presenti le seguenti condizioni:

  1. indice di dolore diffuso alla Widespread Pain Index (WPI), un elenco di 19 aree dolorose, maggiore o uguale a 7 e un punteggio della scala di gravità dei sintomi - Symptom Severity Scale (SSS) - maggiore o uguale a 5, oppure WPI pari a 4-6 e SSS maggiore o uguale a 9;
  2. presenza di dolore in almeno quattro regioni su cinque (dolore generalizzato): regioni superiori di destra e sinistra (comprendenti mascella, braccia e cintura scapolare), regioni inferiori di destra e sinistra (anche e gambe), regione assiale (collo, schiena, petto e addome);
  3. persistenza dei sintomi per almeno tre mesi.

La fibromialgia non esclude la presenza di altre patologie e risulta spesso difficile da diagnosticare, in quanto i suoi sintomi possono coesistere con altre condizioni cliniche. Non esistono test diagnostici specifici, ma l’anamnesi del paziente, l’esame obiettivo, studi di laboratorio e di imaging possono contribuire all’iter diagnostico.

Come curare la fibromialgia

Non è disponibile una terapia risolutiva per la fibromialgia, ma varie tipologie di trattamento vengono impiegate per attenuare i sintomi che la caratterizzano. Solitamente si adotta un approccio graduale, basato inizialmente su interventi non farmacologici e, qualora insufficienti nella riduzione dei sintomi, interventi di tipo farmacologico (Macfarlane et al., 2017).

Interventi non farmacologici

  • Educazione del paziente: il paziente viene informato sulle caratteristiche del disturbo, sulla sua natura non infiammatoria, il ruolo di stress, sonno e dieta, nonché la possibilità di adattamento alla cronicità dei sintomi attraverso strategie di coping.
  • Attività fisica: quella di tipo aerobico è preferibile a quella riabilitativa su tappetino, in particolare ballo, camminata veloce ed esercizi in acqua tiepida.
  • Terapia cognitivo comportamentale: si tratta di una forma di psicoterapia a breve termine, basata sulla premessa che il dolore cronico sia sostenuto anche da fattori psicologici, di tipo cognitivo e comportamentale. Agisce sulla riformulazione dei pensieri catastrofici sul dolore, sul tono dell’umore, sulla risposta allo stress attraverso il rilassamento, l’igiene del sonno e l’allenamento delle abilità sociali. Può inoltre aiutare i pazienti a calibrare le attività e “lasciar andare” il superfluo per gestire l’affaticamento e i sintomi di annebbiamento mentale.
  • Agopuntura: è impiegata per stimolare neurotrasmettitori come le endorfine, in grado di attenuare la percezione del dolore.
  • Cura dell’alimentazione, utile per equilibrare i nutrienti e contenere l’indice di massa corporea.

Interventi farmacologici

La terapia farmacologica per la fibromialgia raccomandata dalle linee guida comprende farmaci tra cui paracetamolo e altri antinfiammatori non steroidei (FANS), inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) e altri antidepressivi triciclici, antiepilettici e oppioidi minori (es. tramadolo).

Fattori di rischio della fibromialgia

Come le altre sindromi da sensibilità centrale, non è possibile individuare cause della fibromialgia che siano organiche.

Chi soffre di fibromialgia sembra presentare un’anomalia nell'elaborazione degli stimoli a livello spinale e cerebrale che lo renderebbe maggiormente sensibile al dolore (Kroenke, 2006; Rubin, 2005; McCarberg, 2012).

Sono stati individuati fattori predisponenti al disturbo: fattori genetici, alterazioni metaboliche, stress e traumi psicologici nei primi anni di vita, come abuso sessuale o fisico, abbandono e trascuratezza.

Traumi prolungati o stress cronici precoci influenzano negativamente i sistemi di modulazione sia del dolore che delle emozioni presenti nel cervello, portando a risposte amplificate a eventi problematici e sfide della vita quotidiana, alla tendenza a catastrofizzare, a evitare le difficoltà e a inibire le proprie emozioni. Una risposta di questo tipo allo stress sembra essere comune nei pazienti con fibromialgia (Holliday, McBeth, 2011; Burke et al., 2017; Yunus, 2015).

Inattività fisica e aumento dell’indice di massa corporea sono ulteriori fattori di rischio che conducono, a loro volta, a un aggravamento dei sintomi algici: maggiore è il dolore percepito, maggiore sarà l’evitamento dell’attività fisica e minore il funzionamento della persona a livello motorio e psicologico. Al contrario, seguire un ritmo nelle attività quotidiane (ad esempio rallentando e facendo delle pause per facilitare il raggiungimento degli obiettivi), provoca minore interferenza del dolore e migliori prestazioni cognitive (Mork et al., 2020).

Fibromialgia e conseguenze psicologiche

La fibromialgia ha un impatto sul funzionamento a livello fisico, psicologico e sociale; compromette le relazioni, la capacità di adempiere alle responsabilità familiari e lavorative, l'autonomia nella vita quotidiana e la salute mentale, non solo a causa del dolore ma anche dell'affaticamento, dei deficit cognitivi e degli altri sintomi.

L’ambito lavorativo risulta particolarmente compromesso; tuttavia, i pazienti che lavorano mostrano uno stato di salute e un adattamento ai sintomi migliori rispetto ai non occupati (Ilmarinen, 2009).

A livello cognitivo, le performance sono peggiori nelle attività di pianificazione, memoria, attenzione e fluidità verbale, con acuite faticabilità e lentezza esecutiva (Dailey et al., 2005; Glass et al., 2005).

Frequenti sono i pensieri catastrofici sul dolore, come l’idea di non riuscire a gestirlo, o di un dolore peggio di quanto non sia in realtà, la sensazione di perdita di controllo e la tendenza alla ruminazione, pensieri che aumentano la percezione o la previsione del dolore stesso (Baastrup et al., 2016).

Possono essere rilevati disturbi mentali concomitanti, come attacchi di panico, fobie, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo da stress post-traumatico, disturbi bipolari e disturbo depressivo maggiore (Galek et al., 2013).

Una diagnosi pregressa di depressione, in particolare, può aumentare il rischio di sviluppare la fibromialgia; a sua volta, una diagnosi di fibromialgia può predisporre un individuo alla depressione (Chang et al., 2015).

L’eziologia sconosciuta della fibromialgia e la mancanza di marcatori diagnostici oggettivi della malattia, hanno portato a dibattiti sulla sua natura e legittimità: ne conseguono possibili ritardi nella diagnosi e dubbi sull’autenticità della malattia sia in chi ne è affetto sia dall’entourage sociale e familiare. In molti casi, i pazienti con fibromialgia si sentono isolati, incompresi o addirittura rifiutati da parenti, amici e operatori sanitari. Le limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane e la presenza di sintomi cronici sconvolgono gli equilibri familiari, l’identità e la fiducia in se stessi delle persone affette.

La presenza di supporto sociale può potenziare gli effetti dei trattamenti disponibili, influenzando positivamente la gestione dei sintomi e il funzionamento globale della persona (West et al., 2012).

Diffusione della fibromialgia

La prevalenza della fibromialgia è stimata tra il 2% e l’8% in tutto il mondo, con una predominanza femminile di 3:1. Nelle donne tra i 20 e i 55 anni rappresenta la prima causa di dolore muscoloscheletrico, inoltre il rischio di sviluppare fibromialgia appare più alto in individui con precedenti patologie reumatiche (Jones et al., 2015; Claw, 2014; Brill et al., 2012).

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