Disturbo di conversione (Disturbo da sintomi neurologici funzionali)

Il disturbo di conversione è caratterizzato dalla presenza di uno o più sintomi che non trovano alcuna spiegazione medica.

Che cos'è il disturbo di conversione

Precedentemente indicato nel manuale diagnostico delle malattie mentali DSM-IV-TR come disturbo somatoforme, il disturbo di conversione è caratterizzato dalla presenza di uno o più sintomi (o deficit) che colpiscono il funzionamento motorio e sensoriale.

Questi sintomi suggeriscono la presenza di un disturbo fisico/neurologico che in realtà, dopo un'appropriata valutazione medica, non risulta determinato da fattori fisiologici. La presenza di tali sintomi risulta invece riconducibile a una condizione psicologica: è dunque la presenza di uno o più fattori psicologici o comportamentali clinicamente significativi che influenza negativamente la condizione medica (aumentando il rischio di sofferenza, morte o disabilità).

I sintomi del disturbo di conversione

Nel disturbo di conversione possono essere presenti uno o più sintomi di vario tipo (detti sintomi di conversione).

I sintomi motori comprendono debolezza o paralisi; movimenti anomali, come tremori o movimenti distonici (causati da contrazioni e spasmi muscolari involontari); anomalie della deambulazione e postura anormale degli arti.

I sintomi sensoriali sono sensibilità tattile, visiva o uditiva alterata, ridotta o assente. Episodi di anormale e generalizzato tremore agli arti con apparente compromissione o perdita di coscienza possono assomigliare a crisi epilettiche. Ci possono essere episodi di insensibilità agli stimoli simili alla sincope o al coma. Altri sintomi includono un ridotto o assente volume della voce (disfonia/afonia), un’articolazione alterata (disartria), una sensazione di nodo alla gola e diplopia (visione doppia).

Nello specifico, i criteri diagnostici per il disturbo di conversione riportati nel manuale diagnostico DSM-5 sono i seguenti:

  • Uno o più sintomi di alterazione della funzione motoria volontaria o sensoriale.
  • Esami clinici non riscontrano alcuna compatibilità tra il sintomo e le condizioni neurologiche o mediche conosciute.
  • Il sintomo non è spiegato da un altro disturbo medico o mentale
  • il sintomo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

I sintomi riportati dai pazienti sono di diverse tipologie:

  • con debolezza o paralisi
  • con movimento anomalo
  • con sintomi riguardanti la deglutizione
  • con sintomi riguardanti l’eloquio
  • con sintomi epilettiformi o convulsioni
  • con anestesia o perdita di sensibilità
  • con sintomi sensoriali specifici
  • con sintomi misti

Possono inoltre presentarsi sottoforma di:

  • episodio acuto, se i sintomi sono presenti da meno di 6 mesi
  • condizione persistente, se i sintomi si verificano per sei mesi o più

Inoltre i sintomi possono manifestarsi a seguito di un fattore psicologico stressante o in assenza di un precedente fattore psicologico stressante.

Terapia del disturbo di conversione

Rientrando nella categoria del disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati, nella valutazione e nel trattamento del disturbo di conversione bisogna tener conto delle diverse specificità coinvolte, offrendo un trattamento che consideri la persona nel suo insieme. Con l’introduzione del DSM-5, che enfatizza il grado in cui i pensieri, le emozioni e i comportamenti della persona relativamente ai propri sintomi somatici siano sproporzionati o eccessivi, è stato possibile strutturare trattamenti specifici per questi disturbi.

La psicoterapia può aiutare la persona a cambiare i pensieri e i comportamenti associati ai sintomi fisici, attraverso l’apprendimento di nuove strategie per gestire il dolore, lo stress e per migliorare il proprio funzionamento.  

La psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT= Cognitive Behavioural Therapy) si mostra particolarmente efficace nel trattamento del disturbo di conversione.

Disturbo di conversione: da dove nasce? I fattori di rischio

Il paziente con disturbo di conversione può presentare una storia di molteplici sintomi somatici o un esordio del disturbo associato a stress o trauma di natura psicologica o fisica. Tuttavia, anche se la valutazione dello stress o del trauma è importante, si potrebbe porre la diagnosi anche in assenza di suddetti stress e traumi.

Tra i fattori di rischio che possono predisporre all’insorgenza del disturbo troviamo: fattori temperamentali, fattori ambientali (abuso, trascuratezza, eventi di vita stressanti), fattori genetici e fisiologici (es. presenza di una malattia neurologica), mentre l’accettazione della diagnosi può costituire un modificatore del decorso a favore di una prognosi positiva. La concomitante presenza di malattie fisiche o l’ottenimento di pensioni di invalidità possono costituire fattori prognostici negativi.

Prevalenza

Sintomi di conversione transitori sono comuni, ma l’esatta prevalenza del disturbo è sconosciuta. Questo dipende dal fatto che la diagnosi richiede una valutazione diagnostica in ambiente specialistico, dove è identificato in circa il 5% degli individui che si rivolgono a una clinica neurologica. L’incidenza dei sintomi di conversione persistenti individuali è stimata essere 2-5/100.000 per anno. Il disturbo di conversione è 2-3 volte più comune nelle femmine.

Esordio e prognosi

L’esordio del disturbo di conversione è stato riscontrato a qualsiasi età, sebbene gli episodi di attacchi “non epilettici” si verifichino più frequentemente a partire dai 30 anni e i sintomi motori mostrino il loro picco di insorgenza intorno ai 40 anni. I sintomi possono essere transitori o persistenti. La prognosi può essere migliore nei bambini più piccoli, piuttosto che negli adolescenti o negli adulti.

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